lunedì 8 giugno 2015

Legge Pinto e Processo Tributario

La Legge Pinto si applica ai processi tributari?

Nel caso di un processo tributario durato eccessivamente dinanzi alla Commissione Tributaria, si ha diritto all’equa riparazione?

Di regola no, non si ha diritto; tuttavia ci sono delle eccezioni.

Vediamo la disciplina nel dettaglio.

1) L’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce che ogni persona ha diritto ad un processo concluso entro un termine ragionevole in materia civile e penale. Ciò significa, in primo luogo, che la Legge Pinto può essere applicata esclusivamente ai giudizi civili e penali (e amministrativi).  

2) L’art. 1 del Protocollo Addizionale CEDU, inoltre, stabilisce che la protezione della proprietà non deve pregiudicare il diritto degli Stati di richiedere il pagamento delle imposte e dei tributi. 

In parole povere, la tutela dei diritti patrimoniali delle persone non deve intaccare la potestà impositiva dello Stato, ossia l’autorità dello Stato sovrano di imporre tributi al cittadino contribuente, che deve sottostare a quella autorità.

In questi casi, in cui il giudizio riguarda un rapporto pubblicistico (e non civilistico) fra Stato sovrano che impone tributi al cittadino contribuente, la controversia tributaria non rientra nell’ambito dei diritti di carattere civilistico, ma è un vero e proprio contenzioso tributario di carattere pubblicistico, e quindi non è possibile chiedere l’equo indennizzo.

3) La Corte di Cassazione, con alcune recenti sentenze (Cass. n. 4282/2015; Cass. n. 4435/2015), ha ribadito che la disciplina dell’equa riparazione non è applicabile, appunto, ai giudizi in materia tributaria in cui si verte sulla potestà impositiva dello Stato, precisando che, in questi casi, il contenzioso tributario non rientra nella materia civile, anche se esso produce effetti patrimoniali nei confronti delle persone.

4) Invece, è possibile chiedere l’equa riparazione quando il procedimento tributario può essere assimilato a quello civile, nel senso che il suo oggetto non riguarda la potestà impositiva dello Stato, ma una pretesa di natura privatistica. 

Ad es., quando l’oggetto del processo riguarda il rimborso di somme dovute in virtù di qualche tributo di cui non si contesta l’esistenza, o un errore di calcolo, oppure quando il giudizio riguarda l’individuazione del soggetto di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; in tutti questi casi, in cui non si mette in discussione la potestà dello Stato in relazione a quel determinato tributo, cioè la potestà dello Stato di emettere quel tributo, sussistono i presupposti per presentare un ricorso ai sensi della Legge n. 89/2001 (Legge Pinto) per chiedere l’equa riparazione.

5) La Corte di Cassazione, con la medesima sentenza (Cass. n. 4282/2015), ha chiarito che l’art. 6 della CEDU può essere applicato al processo tributario, e quindi si può avere diritto all’equo indennizzo in caso di eccessiva durata del processo, solo se la sanzione tributaria è assimilabile a quella penale per il suo carattere di afflittività, ossia quando è talmente grave a livello punitivo ed afflittivo da essere equiparata ad una sanzione penale.

La sanzione penale, infatti, è caratterizzata da una tale gravità da non essere minimamente paragonabile ad altri tipi di sanzioni, anche tributarie. Solo la sanzione penale, infatti, incide sul piano della dignità della persona condannata (Cass. 13322/2012).


6) Quando, infine, l’oggetto del processo tributario riguarda la fondatezza o meno dell’imposizione tributaria, quando cioè si contesta la possibilità per lo Stato di imporre un tributo, allora ci troviamo di fronte ad una situazione regolata da norme di diritto pubblico, ed a quel processo non è applicabile la disciplina dell’equa riparazione. 

Poiché tali controversie non si possono in nessun modo ricondurre a vertenze di tipo civilistico, è preclusa la possibilità di agire ai fini dell’equa riparazione. 

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